Città è biosfera

Iniziative globali ed europee propongono le città come luoghi di rigenerazione ecologica: cosa significa e qual è il ruolo delle periferie?

di am
Illustrazione di Giulia Paolillo

Il 26 Giugno, a Nairobi, Il Working Group on the Post-2020 Global Biodiversity Framework ha chiuso una settimana di lavori in preparazione al 15° Incontro della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP15). Questo si terrà a Montreal, in dicembre, con lo scopo di presentare i nuovi obiettivi globali per la salvaguardia della biosfera. La storia di questa fondamentale Conferenza è però travagliata: doveva svolgersi a Kunming (Cina) nell’ottobre 2020, ma è stata ripetutamente spostata nel tempo ed infine anche nello spazio, così il nuovo framework globale verrà lanciato con almeno due anni di ritardo – due anni di limbo – a dimostrazione di come la biodiversità sia un tema divisivo che occupa il fondo delle agende politiche.

Il precedente framework della Convention on Biological Diversity contava venti obiettivi, gli Aichi Targets, da raggiungere entro il 2020. Tuttavia, uno degli ultimi report dell’ONU riferisce che a livello globale nessuno degli obiettivi è stato integralmente raggiunto e che soltanto sei di questi sono stati raggiunti parzialmente. Il fallimento pressoché totale degli Aichi Targets – che avrebbero dovuto organizzare l’azione globale per la salvaguardia del pianeta – è l’ennesimo esempio di una decade sprecata, durante la quale lo sfruttamento insostenibile degli ecosistemi e delle risorse planetarie è continuato ininterrotto e, secondo alcuni indicatori, è addirittura accelerato. 

Le diverse parti hanno quindi discusso a Nairobi i possibili nuovi obiettivi e punti di riferimento dell’agenda globale per la biodiversità. Si tratta di obiettivi che devono essere ambiziosi, vista la gravità della situazione, ma allo stesso tempo raggiungibili, per evitare l’ennesimo fallimento. Così, senza sorprese ma con rammarico, solo su due dei venti punti in discussione si è trovato un principio di accordo: la condivisione di tecnologie per la preservazione della biosfera e l’aumento della biodiversità nelle zone urbane.

In un altro contesto, ma sempre sull’onda lunga che sta portando a Montreal, il 22 giugno la Commissione Europea ha proposto una Nature Restoration Law con l’obiettivo di rigenerare il 20% degli ecosistemi dell’Unione e con un cospicuo budget – tuttavia non dettagliato – di 100 miliardi di Euro. La legge proposta include interventi a salvaguardia degli insetti impollinatori, la trasformazione sostenibile dei sistemi agricoli, la rigenerazione e la protezione di ecosistemi paludosi e salmastri, delle foreste, degli ecosistemi marini e fluviali e lo sviluppo degli spazi verdi urbani. Riguardo a questi ultimi, in particolare, si propone che l’attuale estensione del verde urbano diventi la base minima irriducibile, successivamente da incrementare del 5% entro il 2050. Si propone inoltre un minimo del 10% di zone alberate in ogni città e in ogni sobborgo ed un incremento generale degli spazi verdi integrati in edifici ed infrastrutture. 

Immaginare le città come pilastri della biosfera è un concetto interessante, che si ribella all’antitesi millenaria fra natura e conglomerati cittadini. Inizialmente costruite per proteggersi dalla maligna, le città sono poi diventate centri di assorbimento e consumo di risorse naturali e biologiche, con un raggio d’impatto sempre più ampio. Inoltre, a differenza di altri luoghi, la città è un sistema complesso di predominanza artificiale, nel quale portare avanti interventi di rigenerazione è problematico per via della densità abitativa e della sussistenza di interessi contrastanti. Infine, il basso tasso di biodiversità rende difficile lo sviluppo di dinamiche naturali complesse, anche se l’episodio Cities, nella serie-documentario Planet Earth II della BBC, dimostra la capacità di adattamento della fauna e della flora alle asseritamente impenetrabili tane umane.

Proprio questo documentario è stato il cardine di un’iniziativa educativa sviluppatasi nella torrida estate del 2020 nella periferia torinese di Borgo Vittoria. Una giornata ideata per i bambini di un’Estate Ragazzi e dedicata alla scoperta delle nature solutions urbane, del rapporto complesso fra città e geografia extraurbana, dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, della natura all’interno dello spazio cittadino. Il percorso si è sviluppato attraverso una molteplicità di attività interattive, l’ultima delle quali consisteva nell’immaginare, e poi ricreare con materiali di riciclo, una Torino biodiversity friendly, con diversi hotspot e corridoi per il supporto della biodiversità e dei servizi ecosistemici. L’ambizione e la creatività – certo anche figlie di una sana ingenuità – hanno generato proposte sorprendenti, su tutte, un enorme ponte che dalla cima delle montagne si collega al Parco del Valentino «per far passare gli orsi».

Il connubio città-natura è un’immagine romantica che ha attraversato la storia, facendo di tanto in tanto breccia nell’immaginario collettivo, senza mai realizzarsi. Forse l’attuale Singapore – nelle sue assurde contraddizioni – può rappresentarne un diafano esempio. D’altra parte, un articolo uscito recentemente su Science Advances dimostra come all’immediato e diretto impatto negativo dell’urbanizzazione sulla vegetazione periurbana seguano una serie di impatti indiretti e come questi, a loro volta, risultino negativi o positivi in base alle scelte urbanistiche e alle politiche di management degli spazi. Questo studio, insieme ad altri, rafforza l’idea che una cooperazione fra i due sistemi apparentemente alternativi non solo sia possibile, ma anche benefica.  

Superare l’antitesi storica fra urbano e naturale è senza dubbio una delle sfide di questi decenni; sfida che richiede di riconsiderare il sistema parassita urbano per integrarlo negli ampi ecosistemi regionali. Sono quindi due i temi fondamentali su cui bisogna riflettere: primo, la città come parte integrante della biosfera, in un’ottica di utilizzo sostenibile delle risorse; secondo, il ruolo centrale delle periferie e della loro privilegiata posizione geografica, che collega il centro urbano e la natura extraurbana. Proprio queste ultime possono infatti diventare il fulcro degli obiettivi europei e globali, mentre ora rimangono relegate a luoghi di scontro fra città e natura.

Come Strabarriere ci auguriamo che il Climate Social Camp che si terrà dal 25 al 29 luglio al Parco della Colletta, in occasione del meeting europeo del Fridays for Future a Torino, possa essere un’opportunità per portare avanti e sviluppare anche questi ragionamenti.

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