L’ArKa di Chieri: come rinasce un centro giovanile

di Pietro Mellano
Fotografie a cura di Dario Bergano, Lorenzo Gasparini e Edoardo Tenani

«La periferia è sprovvista di luoghi di aggregazione e socialità per i giovani»

Una frase che si sente spesso e che ritengo decisamente condivisibile. Le strade delle nostre vite sociali portano obbligatoriamente verso il centro, dai luoghi della cultura a quelli della movida, dall’aula studio alla discoteca, comportando continui e dispendiosi spostamenti. Se estendiamo la dimensione geografica del concetto di periferia all’area metropolitana della città di Torino, ovvero verso quei comuni della cintura legati da una forte interdipendenza verso la città capoluogo, la situazione va solo peggiorando: si allungano le distanze, i tempi, le difficoltà e i costi. Non stupisce che siano luoghi in cui prolifica il malcontento verso le istituzioni e sono ancora freschi nella nostra memoria i video delle proteste per la zona rossa dell’autunno del 2020, quando alcuni giovanissimi spaccavano vetrine gridando i nomi dei loro comuni di provenienza. Le principali testate giornalistiche locali, con gran stupore, si rendevano conto di un «problema» che è invece da decenni davanti agli occhi di tutti, oltre che essere all’origine di molte cd. «sottoculture» ormai note, come quella gabber e quella rap, per citare le più famose. Inoltre, dalle recenti elezioni politiche emerge che i giovani della cintura o non hanno interesse verso la politica o simpatizzano per le destre populiste e anti-establishment

A luglio del 2022 Strabarriere è stata invitata ad organizzare un evento di conferenze e dibattiti sul tema delle discriminazioni presso il centro giovanile ArKa di Chieri, con la richiesta di provare ad animare anche di giorno uno spazio principalmente adibito a serate musicali nei fine settimana. Ciò di cui ci siamo resi conto è che Chieri soffre gli stessi mali degli altri comuni della cintura e, nonostante sia un centro abbastanza ben collegato con il capoluogo e abbia la fama di comune «ricco» della collina, non presenta, al di fuori di qualche bar, luoghi per lo svago di iniziativa giovanile, per la musica, l’arte e il dibattito. Il Comune di Chieri circa 20 anni fa ha messo a disposizione di associazioni giovanili locali questo spazio, ma non c’è stato un ricambio generazionale immediato che consentisse di mantenere il suo ruolo di luogo di aggregazione. 

Le associazioni Hygge e LIL (Local Innovation Lab), con cui siamo entrati in contatto, da circa 3 anni, pandemia a parte, stanno provando a far rinascere questo luogo, potenzialmente così importante per la comunità locale, e questo processo, per nulla semplice, merita interesse. Ho quindi posto ad alcuni componenti di Hygge qualche breve domanda.

Come siete organizzati nella gestione del centro e che tipo di attività proponete?

Siamo una cordata di tre associazioni: Il Timone, capofila e ultima rimasta dalla precedente gestione, ma non inserita attivamente nelle questioni organizzative; LIL che si occupa di comunicazione e di far rete con le start-up locali e noi. In particolare, ci occupiamo della parte organizzativa e della direzione artistica: una volta alla settimana facciamo una riunione aperta, oltre che ai soci, a chiunque voglia proporre idee, in cui si raccolgono le proposte di attività e si pianificano le settimane a venire. Per rendere tutto più efficiente ci dividiamo in gruppi di lavoro, da chi si occupa degli eventi musicali a chi della gestione del bar.

C’è partecipazione da parte della comunità?

Siamo partiti l’estate prima della pandemia e fin da subito abbiamo percepito un’interessante risposta da parte dei giovani del nostro territorio. Post pandemia, l’affluenza è andata gradualmente ad aumentare, soprattutto nelle serate musicali del venerdì, ma l’interesse è più per lo svago senza impegno che per la partecipazione attiva e propositiva. È curioso notare come la partecipazione arrivi maggiormente da ragazzi e ragazze provenienti dai dintorni di Chieri che dai nostri concittadini. Nonostante Torino continui a esercitare un’attrazione difficilmente sostituibile, ci rendiamo conto di star diventando una valida alternativa.

Quali sono le vostre prospettive per il futuro e che peso vorreste avere nella comunità?

Guardiamo al passato del centro giovanile, quando sotto il nome Patchanka attraeva numerosi giovani, e impariamo dai loro errori. Ci interessano anche modelli più virtuosi e nuovi, partendo sempre dal basso, dalle esigenze della comunità, con la volontà però di collaborare maggiormente con le istituzioni. Vorremmo avere un peso maggiore, diventare un riferimento culturale e potenzialmente generare lavoro, restituendo qualcosa di forte alla comunità.

 

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