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Illustrazione di Ester Baroni
Ai funerali di Libera e Vera Arduino, fucilate la notte del 13 marzo 1945 dalle Brigate Nere, partecipano solo donne. La loro morte ha scatenato un’ondata di lotte, che è culminata quella stessa mattina in una dimostrazione alla fabbrica Paracchi, sul cui tetto è stata issata una bandiera rossa; ora, due camion carichi di fascisti attendono il corteo funebre alle porte del Monumentale. Gli uomini presenti, avvisati per tempo, sono tornati a casa. Tra le altre, ad accompagnare le bare di Vera e Libera, sono rimaste la sorella Bruna e la madre Teresa Guala; insieme al piccolo Antonio, sono le uniche sopravvissute dell’eccidio della famiglia Arduino.
Nate nel 1926 e nel 1929, Vera e Libera sono le figlie maggiori di Gaspare, operaio delle acciaierie FIAT, sappista, tra gli organizzatori degli scioperi del ’43 alle Officine Grandi Motori di corso Vercelli. Anche Libera è nelle Squadre di Azione Patriottica, ventesima brigata; Vera fa invece parte dei Gruppi di Difesa della Donna di Barriera di Milano, formazioni diffuse capillarmente sul territorio con compiti di assistenza e sostegno diretto alla lotta partigiana. Come il resto della famiglia, sono operaie – una alla Wamar di corso Vigevano, l’altra alla Castagno – e sono comuniste.
È più che sufficiente: la sera dell’11 marzo, mentre mangiano con due compagni (Aldo De Carli e Alberto Ellena), alla porta della loro casa in via Moncrivello bussano due uomini che chiedono istruzioni per unirsi alle bande partigiane, accompagnati dai vicini Rosa Ghizzone e Pierino Montarolo. Il clima a Torino in quei giorni è piuttosto pesante, la Repubblica è alle strette e attacca con violenza, ma l’allargamento della lotta è tra i compiti delle SAP, e i due sconosciuti vengono ugualmente ricevuti. Non appena dentro, tirano fuori i mitra e mettono al muro gli Arduino, i Montarolo, De Carli ed Ellena. Sono del Reparto Antipartigiani guidato dal giovane medico Aldo De Chiffre. Portano via quasi tutti; restano solo Teresa, Bruna e il piccolo Antonio, che cercheranno gli altri per tutta la notte nelle caserme torinesi. Li troveranno, qualche giorno più tardi, all’Istituto di Medicina Legale.
Gaspare Arduino è stato fucilato quella stessa notte in corso Belgio; Montarolo e De Carli in viale Mattioli; Ellena è scappato. Le tre donne sono state invece trattenute per due giorni alla casa Littoria di via Carlo Alberto e, la notte del 13, portate al canale della Pellerina. Ghizzone, incinta, è sfuggita gettandosi nell’acqua, ma ha udito distintamente i colpi che hanno ucciso le sorelle Arduino sulla sponda del canale. Perderà il bambino e, mesi più tardi, morirà per le violenze subite in quei due giorni.
Dopo la Liberazione, Aldo De Chiffre sarà condannato all’ergastolo. Ottenuta una riduzione di pena, tornerà a esercitare come medico all’Ospedale Mauriziano.
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