di Sara Taramasso e Edoardo Carroccetto
illustrazioni a cura di Michele Giamello
Dicembre 2007, Torino. Giuseppe è un uomo di 37 anni che vive una vita normale: ha una famiglia, una casa, un lavoro, amici con cui ama giocare a Paddle e ascoltare la musica. Molto probabilmente pensa all’arrivo del Natale e alle giornate in montagna in cui si scia e si sta con gli amici.
Il 5 dicembre si reca nell’azienda in cui lavora ormai da 5 anni, entra alla solita ora, passa il badge e si mette a lavorare. Alle 12:30 pausa pranzo e alle 17:30 esce e torna a casa.
Quest’ultima parte, il ritorno a casa, non è così semplice per alcune persone le cui storie non sono inventate come quella di Giuseppe.
La notte tra il 5 e il 6 Dicembre del 2007, a Torino, nello stabilimento della ThyssenKrupp, un incendio coinvolge otto operai e ne uccide sette. Vengono sollevate diverse critiche all’azienda, sia perché alcuni degli operai coinvolti stavano lavorando da dodici ore, sia perché, secondo le testimonianze di alcuni lavoratori dello stabilimento (e come accertato giudizialmente), i sistemi di sicurezza non funzionavano correttamente.
Tragedie come questa non fanno altro che ribadire l’importanza e soprattutto l’attualità delle lotte a cui hanno preso parte milioni di persone; lotte che hanno avuto origine alla fine del diciannovesimo secolo e che hanno cambiato la concezione del lavoro.
1886, Chicago. Il 1° maggio un gruppo di lavoratori scende per strada per protestare contro la mancata osservanza della legge sulla giornata lavorativa di otto ore. La legge, approvata lo stesso giorno di vent’anni prima, ha fatto scalpore e, sin da subito, è sembrata un passo avanti nella lotta per i diritti dei lavoratori, ma la sua applicazione è rimasta limitata al settore pubblico. «Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire». È questo il motto cantato sin da metà secolo dai primi movimenti sindacali australiani per rivendicare la dignità operaia e che, in quei giorni, viene fatto proprio dai manifestanti dell’Illinois.
Le proteste si protraggono per quattro giorni, la polizia spara sulla folla causando due vittime. Questo acuisce la protesta, che culmina nella manifestazione di Haymarket Square: è il 4 maggio. La manifestazione operaia, pacifica, continua a rivendicare l’applicazione effettiva di turni di otto ore anche ai lavoratori privati, ma vi si aggiunge il disdegno verso la violenta risposta da parte delle Forze dell’Ordine e verso la loro cattiva gestione del contenimento dello sciopero. Nel corso della protesta viene lanciato un piccolo ordigno verso la polizia, che in risposta apre il fuoco sulla folla. Muoiono, nuovamente, diverse persone, tra cui alcuni poliziotti: in parte uccisi dalla bomba, in parte dal fuoco amico. Otto lavoratori vengono imputati, cinque dei quali condannati a morte, senza alcuna prova della loro colpevolezza.
20 luglio 1889, Parigi. Il Congresso della Seconda Internazionale decide di istituzionalizzare la festa dei lavoratori per il giorno del 1° maggio, in memoria delle vittime delle manifestazioni di Chicago.
In Italia, la festa dei lavoratori è celebrata dal 1891. La sua storia si incrocia con il miglioramento salariale, la regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, la costituzionalizzazione del diritto di sciopero, la riduzione della giornata lavorativa a otto ore…
Negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, la lotta si estende alle lavoratrici. Una frase viene ripetuta da generazioni e tramandata tra le ragazze operaie: «a sbubinè i bigàt» (letteralmente «a sbobinare i bachi [da seta]»). Si riferisce al lavoro nelle filande piemontesi, dove le operaie, sedute dinanzi a una bacinella d’acqua bollente, immergono le dita per scuotere i bozzoli e tirarne il filo, per una media di circa sedici ore di lavoro al giorno.
5 maggio 1906, Torino. Sedicimila operai del settore metalmeccanico, di cui dodicimila donne, invadono via Garibaldi, per rivendicare la giornata lavorativa di dieci ore. Infatti, il 2 marzo 1906 alla FIAT s’è stipulato un accordo che all’art. 2 recita: «l’orario normale di lavoro è di dieci ore». Solamente nel 1919 si raggiungerà un nuovo accordo di settore per la riduzione a otto ore giornaliere e quarantotto settimanali, stipulato tra la FIOM e la Confederazione degli Industriali. Nel 1923, poi, il Regio Decreto Legge n. 692 estenderà la previsione a tutte le categorie di lavoratori.
Sotto il fascismo, la ricorrenza del 1° maggio viene sostituita con un’autarchica festa del lavoro italiano: il 21 aprile, in coincidenza con il Natale di Roma. Solamente il 1° maggio del 1945 i giovani, senza memoria della festa dei lavoratori, e gli anziani, che invece la rammentano da anni, si trovano in strada e nelle piazze d’Italia per festeggiare insieme.
Il 1° maggio ha segnato diversi momenti storici di lotta che non si possono racchiudere e riassumere in poche righe. Per farsi un’idea basta pensare alle lotte operaie del 1920, agli scioperi del 1943 contro la dittatura mussoliniana o alla manifestazione di Portella della Ginestra del 1947.
Tutte queste conquiste possono sembrare lontane o poco attuali. Viviamo in una società del consumo, dove tutto è in continuo movimento: c’è una notevole tendenza a dimenticare il motivo per cui in passato si è lottato perché i Governi riconoscessero la dignità dei lavoratori.
L’ideale che ha spinto alle lotte è stato quello di una società che mettesse il lavoratore e la lavoratrice nella condizione di dare il proprio contributo allo sviluppo della collettività e, insieme, di realizzarsi dedicando il tempo extralavorativo al miglioramento del suo vivere e allo sviluppo della sua persona. Forse abbiamo dimenticato i valori essenziali, ma soprattutto i bisogni che, a fine diciannovesimo secolo, portarono le persone a scendere in piazza ad Haymarket Square. Citando Bauman, ricordiamo che «vivendo in una società dove il consumismo non riguarda il soddisfacimento dei desideri ma l’evocazione di un numero sempre maggiore di desideri», siamo sempre di più spinti verso un parassitico individualismo, che ci fa dimenticare il nostro aristotelico essere «animali sociali» .
La vicenda torinese dell’acciaieria Thyssenkrupp avrebbe dovuto ricordarci l’importanza della lotta per il riconoscimento della dignità di tutti i lavoratori, in tutti i settori merceologici. Purtroppo, però, non serve tornare al 2007 per sentire parlare di vittime sul luogo di lavoro. Tragedie come quella di Luana d’Orazio, morta a ventidue anni in un’azienda tessile, in provincia di Prato; di Lorenzo Parelli, diciotto anni, studente, morto di un mix tra scuola e lavoro, mentre stava progettando la realizzazione di un impianto di laminazione. A Torino, in via Genova, la mattina del 18 dicembre 2021 sono morti tre operai per il crollo di una gru.
Nel corso del 2021, in Piemonte, le vittime sul luogo di lavoro ammontano a quaranta. I sindacati parlano dell’ennesima tragedia, di una strage senza fine, che miete più di mille vittime ogni anno. A livello nazionale, infatti, le vittime sono milleduecento: più di tre al giorno. Gli infortuni segnalati sono più di cinquecentomila e le patologie di origine professionale toccano il tetto di cinquantacinquemila. Per questo è necessaria una maggiore formazione, informazione, campagne volte a sviluppare la cultura della prevenzione e dei controlli.
Il 1° maggio, dunque, va celebrato non tanto per ricordare le dure lotte di un lontano passato, ma per pretendere che nessuno rischi la propria vita lavorando.
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